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Le PMI italiane alla prova dello smart working


Quali sono gli aspetti critici da affrontare nel passaggio allo smart working in una PMI, e perché non è solo una questione di tecnologia.

Maggio 22, 2020
Dopo Twitter, anche Google concederà ai propri dipendenti la possibilità di lavorare in smart working almeno fino al 2021. L’annuncio, comunicato ufficialmente dal CEO Sundar Pichai e che riguarda al momento solo i dipendenti attivi nel Nord America, segue di pochi giorni la scelta di Twitter di concedere ai dipendenti del social network di lavorare da casa a tempo indeterminato. Due scelte simili, quindi, favorite dalla disponibilità di strumenti tecnologici adeguati ma anche da considerazioni di carattere strategico e culturale che le PMI italiane farebbero bene a non ignorare.

Le PMI italiane hanno cambiato idea sullo smart working


Lo smart working, ovvero la possibilità di lavorare senza vincoli di orari e di luoghi è una pratica da tempo ampiamente diffusa all'interno delle multinazionali, mentre non lo è altrettanto all'interno delle piccole e medie imprese nazionali che pur rappresentano la maggioranza delle aziende italiane. Secondo un’indagine del Politecnico di Milano ripresa dal Sole 24 Ore, infatti, solo il 12% delle PMI aveva adottato forme di lavoro agile nelle prime settimane di diffusione della pandemia, rispetto al 58% delle grandi aziende e al 16% degli enti della Pubblica Amministrazione.

L’emergenza, tuttavia, ha costretto molte aziende a rivedere i propri piani e processi interni e concedere maggiore flessibilità organizzativa e temporale ai propri addetti, soprattutto quelli che non sono direttamente coinvolti nel processo produttivo. Secondo l’ultima indagine Excelsior di Unioncamere e Anpal, infatti, il ricorso allo smart working ha superato il 20% nelle aziende attive nel settore delle public utilities, nei servizi, nell’industria e nelle costruzioni, con un incremento particolarmente diffuso nel Mezzogiorno (il 27% delle imprese ora dichiara di ricorrere al lavoro agile) e nel Nord Ovest (24% del totale).

Quali sono gli aspetti critici da affrontare per passare allo smart working


Da non confondere con il telelavoro, lo smart working è disciplinato in Italia dalla legge 81/2017 e consente ai dipendenti di poter svolgere la propria prestazione lavorativa sia nei locali dell’azienda, sia in altri luoghi senza vincolo di postazione e di orari. In questo senso, la prima sfida da affrontare è quella della sicurezza: la migrazione dei sistemi in infrastrutture cloud, oggi adottate da un numero crescente di imprese, consente di assicurare la continuità della produzione anche in caso di mancato accesso ai sistemi locali, e di scalare rapidamente in caso di improvvise variazioni nel volume di richieste e ordini da evadere.

Lo smart working impone, inoltre, di ripensare radicalmente il processo decisionale interno all’azienda: non si tratta solo di sostituire la firma a mano sul documento di conferma d’ordine con un software di document management e firma digitale, ma di individuare le migliori piattaforme in grado di facilitare il flusso di lavoro in assenza dei singoli dipendenti. Cambiano i processi, cambiano anche le modalità di misurazione: dalla produttività per ore di lavoro alla produttività per obiettivi raggiunti, dalla verifica del tempo di entrata e di uscita allo sviluppo di nuove modalità di incentivazione dell’iniziativa personale da parte dei dipendenti (come quelle descritte nel libro “Reinventare le organizzazioni” di Frederic Laloux, edito in Italia da Guerini).

Lo smart working come verifica della resilienza di un’azienda


Più in generale, lo smart working è un potente strumento di verifica della resilienza dei processi aziendali e dell’esistenza di rapporti di fiducia all’interno dell’azienda, grande o piccola che sia. Dove lo spirito di iniziativa è già presente e riconosciuto, dove il senso di community aziendale è stato coltivato nel corso degli anni grazie a un’attenta politica di valorizzazione dei talenti e delle risorse, l’introduzione di nuove modalità di lavoro può essere meno traumatica che in altri contesti e portare a un effettivo risparmio sia per l’azienda, sia per i dipendenti. Dove questo non avvenga, invece, è importante sfruttare l’occasione per analizzare ciò che non funziona e provvedere al suo miglioramento: lo smart working sta diventando uno strumento imprescindibile per attrarre e trattenere presso di sé i migliori talenti a disposizione sul mercato del lavoro, come la scelta di Google e Twitter sembra implicitamente suggerire.